Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23465 - pubb. 08/04/2020

Alle Sezioni Unite la questione della prededuzione del credito del subappaltatore

Cassazione civile, sez. I, 12 Luglio 2019, n. 18837. Pres. Genovese. Est. Terrusi.


Appalti pubblici - Fallimento dell’affidatario - Prededuzione del subappaltatore - Rimessione alle Sezioni Unite



Alle Sezioni Unite la seguente questione se, ove residui un credito dell'appaltatore verso l'amministrazione appaltante e l'amministrazione abbia in base al contratto opposto la condizione di esigibilità di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, il curatore della stazione appaltante che voglia incrementare l'attivo debba subire o meno, sul piano della concreta funzionalità rispetto agli interessi della massa, la prededuzione del subappaltatore. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Fatti di causa

La Bonotto s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, in due motivi, contro il decreto del tribunale di Bergamo in data 4-7-2014, corretto da errore materiale in data 6-11-2014, che le ha negato la prededuzione invocata in qualità di subappaltatrice della fallita (OMISSIS) s.p.a., per un credito ammesso al chirografo costituente il corrispettivo di stati di avanzamento di un pubblico appalto.

La curatela del fallimento ha resistito con controricorso e ha eccepito la inammissibilità dell'impugnazione perchè tardiva.

Entrambe le parti hanno depositato una memoria.

Il procuratore generale ha presentato una requisitoria scritta.

 

Ragioni della decisione

I. - La memoria di parte ricorrente è stata depositata fuori termine, il 31-5-2019, donde non va considerata.

II. - L'eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata.

Il decreto del tribunale di Bergamo risulta depositato in data 4-7-2014 e risulta corretto in data 6-11-2014.

In effetti, come sostenuto nel controricorso, la correzione ha avuto a oggetto un errore materiale non influente sul contenuto della decisione, essendo stata corretta la semplice intestazione e la parte motiva del decreto in relazione all'esatta denominazione della ricorrente, indicata originariamente come "Benotto s.r.l." anzichè (appunto) come "Bonotto s.r.l.". Ne segue che, ai sensi dell'art. 288 c.p.c., la correzione non implicava la riapertura del termine per proporre il ricorso per cassazione, poichè non è dedotta l'esistenza di un errore - in iudicando o in procedendo - emergente dalla correzione. In base all'art. 288 le sentenze - ma lo stesso deve ritenersi, naturalmente, per i provvedimenti decisori aventi forma diversa - possono essere impugnate "relativamente alle parti corrette" nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l'ordinanza di correzione. E il presente ricorso, affidato all'ufficiale giudiziario per la notificazione in data 21-11-2014, affronta i temi relativi alla prededuzione, che il tribunale ha fin dall'inizio escluso.

Sennonchè non può accedersi all'eccezione di inammissibilità formulata dalla curatela in relazione all'infruttuoso decorso del termine di trenta giorni decorrente dalla comunicazione del decreto originario, giacchè di tale specifica comunicazione - che si dice nel controricorso avvenuta il 47-2014 - non v'è traccia in atti.

Il provvedimento depositato dalla ricorrente in copia autentica reca la data di comunicazione (unitaria) del 7-11-2014, conseguente al decreto di correzione, e rispetto a tale data il ricorso è sicuramente tempestivo. Era semmai onere del Fallimento fornire la prova di un'anteriore data di comunicazione del decreto originario, e peraltro non ai fini dell'inammissibilità quanto piuttosto della improcedibilità dell'impugnazione, secondo il disposto ex art. 369 c.p.c., giacchè il riscontro di una anteriore comunicazione ai fini del decorso del termine avrebbe postulato di rilevare che la parte ricorrente non avesse ottemperato all'onere di deposito della copia autentica del decreto comunicato per intero, così da dover imporre - e solo in tal caso - la declaratoria di improcedibilità (v. già Cass. Sez. U n. 11932-98 poi confermata da Cass. Sez. U n. 9004-09 e Cass. Sez. U n. 9005-09, sebbene in relazione alla notificazione della sentenza).

Il ricorso va quindi esaminato nel merito delle censure consegnate ai singoli motivi, poichè il decreto non risulta comunicato che in data 7-112014 e poichè non rileva come equipollente la circostanza che la Bonotto medesima abbia proposto l'istanza di correzione dell'errore materiale in data 26-9-2014. In quanto funzionale alla individuazione del momento di decorrenza di un termine perentorio, la comunicazione (al pari della notificazione) non può trovare equipollente nella conoscenza di fatto, aliunde acquisita, del provvedimento da impugnare (v. per riferimenti al principio Cass. n. 27123-18). Questo perchè in generale la produzione della sentenza (o del provvedimento) in altra sede procedimentale non fa decorrere il termine breve per impugnare, in quanto di regola, ai sensi dell'art. 326 c.p.c. (ma lo stesso deve dirsi per le norme speciali costituenti applicazione del principio ivi dettato), la notificazione non ammette equipollenti quale fonte di conoscenza legale (Cass. Sez. U n. 11366-16).

III. - Coi due motivi di ricorso, tra loro connessi, la società denunzia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 111 e D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3, e l'omesso esame di fatto decisivo, assumendo di aver richiamato a sostegno della tesi della prededuzione il principio di diritto espresso da questa Corte con la sentenza n. 3402 del 2012, che invece il tribunale di Bergamo avrebbe disatteso senza motivazione alcuna, o comunque con motivazione non conferente.

Ad avviso del collegio è opportuno che sulla questione costì sollevata si pronuncino le sezioni unite, essendo insorto un contrasto nella giurisprudenza della sezione a proposito del nesso corrente tra l'istituto fallimentare e il disposto del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3.

IV. - Vale premettere che il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17-CE e 2004/18-CE, abrogato dal D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ma nella specie ancora applicabile rationetemporis, ha previsto che nel bando di gara la stazione appaltante debba indicare "che provvederà a corrispondere direttamente al subappaltatore o al cottimista l'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite o, in alternativa, che è fatto obbligo agli affidatari di trasmettere, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi affidatari corrisposti al subappaltatore o cottimista, con l'indicazione delle ritenute di garanzia effettuate".

Nella suddetta alternativa (pagamento diretto o trasmissione di fatture con la quietanza dell'appaltatore affidatario) ha aggiunto che "qualora gli affidatari non trasmettano le fatture quietanziate del subappaltatore o del cottimista entro il predetto termine, la stazione appaltante sospende il successivo pagamento a favore degli affidatari"; viceversa, nel caso di pagamento diretto, è stabilito che "gli affidatari comunicano alla stazione appaltante la parte delle prestazioni eseguite dal subappaltatore o dal cottimista, con la specificazione del relativo importo e con proposta motivata di pagamento".

Sempre in base al citato comma 3, "ove ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell'affidatario, comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti dei subappaltatori o dei cottimisti, o anche dei diversi soggetti che eventualmente lo compongono, accertate dalla stazione appaltante, per il contratto di appalto in corso può provvedersi, sentito l'affidatario, anche in deroga alle previsioni del bando di gara, al pagamento diretto alle mandanti, alle società, anche consortili, eventualmente costituite per l'esecuzione unitaria dei lavori a norma dell'art. 93 del regolamento di cui al D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, nonchè al subappaltatore o al cottimista dell'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite".

V. - Ciò stante, ove sopravvenga il fallimento dell'appaltatore e vi sia stato il subappalto si pone la necessità di coordinare tale dato normativo col principio di cui alla L. Fall., art. 111,u.c., secondo il quale "sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali".

Giova qui precisare che circa la prededucibilità dei crediti sorti "in occasione o in funzione" delle procedure concorsuali l'art. 111 individua questi ultimi sulla base ancora una volta di alternativi criteri, cronologico e teleologico (v. tra le altre Cass. n. 25589-15, Cass. n. 24791-16, Cass. n. 18488-18); e in particolare che l'utilizzo nel medesimo comma dell'art. 111 della proposizione congiuntiva "e", quanto al raccordo tra i due predetti criteri e quello, pure esplicitamente stabilito, della qualificazione del credito come prededucibile in base a "specifica disposizione", postula che siano tre le tipologie di crediti caratterizzati da prededuzione: (a) quelli così classificati da una espressa previsione, (b) quelli sorti in occasione di una procedura concorsuale, (c) quelli sorti in funzione di essa (da ultimo, Cass. n. 14713-19).

VI. - Giustappunto nella dianzi indicata ultima prospettiva funzionale, la sezione ha osservato che il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3, determina una condizione di esigibilità del pagamento anche in caso di sopravvenuto fallimento dell'appaltatore. Cosicchè il soddisfacimento del subappaltatore diviene essenziale al fine di consentire all'appaltatore (fallito) di ottenere il pagamento del proprio credito.

In tal guisa si è ritenuto che, ai fini della prededucibilità dei crediti nel fallimento, il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale (L. Fall., art. 111) debba essere inteso non soltanto con riferimento al nesso genetico, tra l'insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorchè avente natura concorsuale, rientri negli interessi della massa e dunque risponda agli scopi della procedura stessa in quanto utile alla gestione fallimentare. E questo perchè la prededuzione attua un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte al suo interno, ma anche tutte quelle che interferiscono con l'amministrazione fallimentare e influiscono sugli interessi dell'intero ceto creditorio (Cass. n. 3402-12).

L'orientamento è stato confermato da Cass. n. 5703-13, ed è stato poi affinato dalla considerazione che, peraltro, il credito del subappaltatore può beneficiare della prededuzione solo se e in quanto comporti, per la procedura concorsuale, un sicuro e indubbio vantaggio conseguente al pagamento del committente, il quale, secondo l'alternativa all'inizio menzionata, abbia subordinato il suo pagamento di una maggior somma alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito (cfr. Cass. n. 3003-16 e Cass. n. 7392-17).

VII. - Tale costruzione non ha convinto una parte della giurisprudenza di merito, essendosi posto in dubbio che in effetti la condizione di esigibilità del credito dell'appaltatore nei confronti della stazione appaltante, stabilita dall'art. 118, comma 3, del D.Lgs. cit., possa rilevare in caso di fallimento.

La critica è stata incentrata essenzialmente su due rilievi: (i) il primo avente base nella previsione del pagamento diretto del subappaltatore da parte della stazione appaltante "ove ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell'affidatario"; (ii) il secondo incentrato sull'introduzione nell'art. 118 (da parte del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, n. 9) del comma 3-bis, a tenore del quale - "nella pendenza di procedura di concordato preventivo con continuità aziendale" - "è sempre consentito alla stazione appaltante, anche per i contratti di appalto in corso, (..) provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dagli eventuali diversi soggetti che costituiscano l'affidatario, quali le mandanti, e dalle società, anche consortili, eventualmente costituite per l'esecuzione unitaria dei lavori a norma dell'art. 93 del regolamento di cui al D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, dai subappaltatori e dai cottimisti, secondo le determinazioni del tribunale competente per l'ammissione alla predetta procedura".

Si è così paventata la tesi che la disposizione di cui al comma 3 abbia il distinto fine di regolare i rapporti tra soggetti in bonis, non tenuti al rispetto delle regole concorsuali, visto che il fallimento dell'appaltatore determina lo scioglimento del contratto di appalto pubblico e il venir meno di qualsiasi obbligazione della stazione appaltante verso il subappaltatore.

VIII. - Occorre osservare che un'eco di simile contraria ricostruzione si è avuta (ben vero) anche in alcune decisioni di questa Corte, che pur formalmente non si sono discostate dall'orientamento prevalente come integrato dalle sentenze n. 3003 del 2016 e n. 7392 del 2017.

In particolare vanno citate Cass. n. 15479 del 2017 e Cass. n. 19615 del 2017, sostanzialmente identiche.

Queste decisioni, sebbene mantenendo nella concreta fattispecie il principio secondo cui l'ammissione del credito del subappaltatore al passivo fallimentare in prededuzione può trovare riscontro solo se e in quanto comporti, per la procedura concorsuale, un sicuro e indubbio vantaggio consistente nel pagamento di una maggior somma da parte del committente P.A., la quale subordini tale pagamento alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3; e sebbene mantenendo la necessità di una conforme allegazione, da parte del subappaltatore-creditore, della effettiva e concreta funzionalità del pagamento alla procedura concorsuale; sebbene così facendo, hanno però anche considerato (in obiterdictum) che i distinti argomenti - ivi esposti nel controricorso - sarebbero stati "idonei a rimettere in discussione il precedente del 2012". Difatti - hanno aggiunto - "il riconoscimento di una particolare tutela alle imprese subappaltatrici in appalti pubblici è indiscusso, ma attiene al loro rapporto con le imprese appaltatrici, non può incidere sugli interessi degli altri creditori concorsuali nel caso di fallimento di tali imprese".

Per cui in sostanza quelle decisioni hanno infine ipotizzato l'impossibilità di riconoscere la prededuzione "a un credito che non ha alcun rapporto nè genetico nè funzionale con la procedura concorsuale".

IX. - Va subito sottolineato che, in verità, il riferimento alla necessità di un nesso genetico (oltre che funzionale) tra il credito e la procedura ai fini della prededuzione non è attendibile, poichè la prededuzione non indica una qualità del credito ma una modalità di pagamento.

L'effetto premiale della prededuzione non è legato alla caratteristica del credito (connaturata alla sua genesi e alla sua natura, come se si trattasse di un privilegio), quanto piuttosto (e soltanto) al nesso di funzionalità con gli interessi della massa.

A ogni modo è un fatto che il contrasto di giurisprudenza, ancora latente in base ai riferiti assunti, si è infine palesato con la successiva sentenza n. 33350 del 2018.

Riprendendo gli argomenti sopra sintetizzati, tale sentenza ha affermato il seguente principio: "in caso di fallimento dell'appaltatore di opera pubblica, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione, non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, nè potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 2; invero, il meccanismo D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 118, comma 3, - riguardante la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell'appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest'ultimo al subappaltatore - deve ritenersi, alla luce della successiva evoluzione della normativa di settore, calibrato sull'ipotesi di un rapporto di appalto in corso con un'impresa in bonis, in funzione dell'interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell'opera, nonchè al controllo della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore, quale contraente "debole", sicchè detto meccanismo non ha ragion d'essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie".

A fronte della massima estratta è bene sottolineare che la sentenza ha esplicitato altresì un rilievo ulteriore: quello per cui, una volta sciolto il contratto d'appalto, verrebbe meno altresì l'interesse alla prosecuzione del rapporto, al quale interesse sarebbe strumentale la facoltà di sospendere i pagamenti.

X. - Alcune considerazioni si impongono riguardo a codesti assunti.

Innanzi tutto l'insistito riferimento allo scioglimento del contratto non appare granchè pertinente, poichè il tema è in verità rappresentato dalla sorte dei rapporti pendenti (L. Fall., art. 72), rispetto alla quale sorte rileva pur sempre il contratto. Al generale schema, per cui il contraente ha sempre in base al contratto il diritto di far valere nel passivo i propri crediti, l'appalto non fa eccezione (L. Fall., art. 81), anche a voler prescindere dalla clausola di salvezza di cui all'ultimo comma della disposizione appena citata.

Se quindi il contratto contiene una condizione di esigibilità implicata dal bando (com'è quella stabilita dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3) non sembra che si possa così semplicemente pervenire alla conclusione che, sciolto il contratto, venga meno anche la possibilità della stazione appaltante di avvalersi della corrispondente clausola dinanzi alla pretesa creditoria dell'appaltatore. Il che del resto andrebbe altrimenti predicato anche dinanzi all'operare di eventuali diverse fattispecie di scioglimento (per esempio per mutuo consenso). Cosa che non risulta mai affermata nè in dottrina, nè in giurisprudenza.

Al tempo stesso non è autoevidente, ancora ai fini delle affermate implicazioni, l'argomento incentrato sulla "evoluzione normativa di settore", e in particolare sull'inserimento della comma 3-bis nel testo dell'art. 118.

Certamente tale norma si riferisce a imprese appaltatrici rispetto alle quali sia prospettata una soluzione concordataria particolare (con continuità aziendale); e dunque a imprese in tal senso in crisi, se non insolventi.

Ma la formulazione della norma non ottiene di poter affermare l'esistenza di un rapporto di alternatività rispetto alla fattispecie disciplinata nel comma 3.

In altre parole, l'art. 118, comma 3-bis, esprime una regola destinata a operare nel caso specifico, senza escludere però che in tutte le distinte situazioni di insolvenza possa comunque operare il principio dettato dal comma 3. E dunque non giustifica l'inferenza che il comma 3 concerna il solo appalto di opere pubbliche in corso con un'impresa in bonis.

Non sembra affidabile neppure lo spunto, che ancor si rinviene in Cass. n. 33350-18, circa il difetto di interesse dalla stazione appaltante a opporre la condizione di esigibilità in caso di fallimento dell'appaltatore.

Tale considerazione appare associata al rilievo per cui lo scioglimento del contratto di appalto imporrebbe di escludere qualsiasi utilità del pagamento del subappaltatore per l'appaltatore fallito, e conseguentemente la funzionalità del pagamento medesimo; cosa che sarebbe sufficiente per negare la prededuzione del credito del subappaltatore.

Può tuttavia osservarsi che simile affermazione si presta a una censura di insostenibilità poichè la sospensione dei pagamenti è una manifestazione del principio di autotutela, inciso soltanto dall'ottica dell'amministrazione che ne è depositaria. L'autotutela è nota espressione di un potere discrezionale di mediazione tra interessi (pubblici e privati) tra loro potenzialmente in conflitto, la ponderazione dei quali è affidata alla sola amministrazione.

A questo riguardo giova riprendere il dato iniziale, e osservare che proprio in base all'art. 118, comma 3, il contratto di appalto di opera pubblica può non contemplare il pagamento diretto del subappaltatore da parte della stazione appaltante. E analogamente può escludere che un pagamento diretto sia perseguito in fase di esecuzione.

A tanto va aggiunto che la tendenza dell'ordinamento, come emergente dalla norma, è però certamente allineata all'ispirazione comunitaria di favorire le piccole e medie imprese. E questo è stato riconosciuto nei plurimi pareri dell'Anac succedutisi nel tempo, da ultimo inclini a evitare prassi e metodiche di pagamento diretto non previste dall'appalto ove non ispirate alla ratio involgente, in caso di fallimento dell'affidataria, la prededuzione del subappaltatore (v. in particolare quello n. AG 26/12 del marzo 2013).

E' appena il caso di puntualizzare che, secondo la giurisprudenza amministrativa, le linee guida dell'Anac e gli atti a esse assimilati vanno ricondotti nella categorie degli atti di regolazione delle cd. autorità indipendenti, e anche se non adottate in forma di decreto ministeriale (e dunque anche se non vincolanti extra ordinem), perseguono pur sempre lo scopo di fornire indirizzi e istruzioni operative alle stazioni appaltanti alla stregua di atti amministrativi generali (cfr. C. stato, sez. consultiva, pareri n. 855 del 2016, n. 1767 del 2016 e n. 782 del 2017).

Codeste circostanze non sembrano valorizzate dalla ripetuta Cass. n. 33350-18, mentre proprio esse possono indurre ad affermare che la stazione appaltante, per i fini citati, resta sempre libera di opporre la condizione di esigibilità all'appaltatore - finanche se fallito.

Al fondo di tale condizione non è invero ravvisabile un interesse in sè della stessa stazione appaltante, quanto piuttosto l'interesse (rilevante nell'ottica sopranazionale) di tutelare l'impresa nel mercato in condizioni di trasparenza, per modo da consentire di proteggere anche e proprio il subappaltatore, parte debole del rapporto. Ove dal contratto non fosse consentito il pagamento diretto da parte della stazione appaltante, la tutela del subappaltatore - che è l'operatore economico piccolo o medio che pur ha realizzato (o concorso a realizzare) l'opera pubblica nel contesto di mercato appena detto - non potrebbe trovare altro presidio che nella L. Fall., art. 111,poichè altrimenti il suo credito resterebbe soggetto alla falcidia fallimentare.

Può quindi in conclusione osservarsi che, nel riferito senso, il tema postula una scelta interpretativa in ordine alle implicazioni sottese alle dianzi considerate previsioni, sulla quale la giurisprudenza della sezione non appare suscettibile di esser composta al proprio interno.

E' opportuno trasmettere gli atti al Primo presidente affinchè valuti se rimettere la questione alle sezioni unite.

In termini sintetici, la questione resta ancorata al seguente interrogativo: se, ove residui un credito dell'appaltatore verso l'amministrazione appaltante e l'amministrazione abbia in base al contratto opposto la condizione di esigibilità di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, il curatore, che voglia incrementare l'attivo, debba subire o meno, sul piano della concreta funzionalità rispetto agli interessi della massa, la prededuzione del subappaltatore.


P.Q.M.

La Corte dispone rimettersi gli atti al Primo presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019.