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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24905 - pubb. 23/02/2021.

Chiamata in causa del terzo nel giudizio di opposizione allo stato passivo


Tribunale di Piacenza, 14 Luglio 2020. Est. Tiberti.

Fallimento - Accertamento del passivo - Opposizione - Chiamata in garanzia


Non vi è alcuna incompatibilità in astratto tra la natura del giudizio di opposizione e la chiamata in causa di un terzo nello stesso, in quanto ogni eventuale profilo di inammissibilità dell’intervento per lesione della parità di trattamento dei creditori va accertato in concreto e comporterebbe, in ogni caso, una valutazione circa la inammissibilità o improcedibilità di eventuali domande spiegate dal terzo stesso, valutazione che non può sovrapporsi o confondersi con la diversa questione della ammissibilità o meno di un istituto generale, quale la chiamata in causa di terzi. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

 

omissis

Gli opponenti hanno proposto opposizione avverso il decreto del GD di esclusione del loro credito da risarcimento nei confronti del Fallimento * SNC, vantato iure proprio e iure successionis per effetto del sinistro mortale occorso al de cuius G. * quando la società era in bonis.

La Curatela del Fallimento opposto si è costituita in giudizio ed ha chiesto la chiamata in causa del terzo della compagnia assicurativa A.E. S.A., per vedersi tenere indenne da quanto sarà eventualmente tenuta a corrispondere agli opponenti a titolo di risarcimento del danno.

L’istanza di chiamata in causa del terzo nell’odierna sede di opposizione allo stato passivo deve ritenersi ammissibile.

In primo luogo, questo Giudice ritiene che nel giudizio di opposizione allo stato passivo ex art. 99 l.fall. sia, in via generale, ammissibile l’istituto della chiamata in causa del terzo ex art. 106 c.p.c., per le seguenti ragioni:

1) Non è dubitabile che al procedimento di opposizione allo stato passivo, sebbene regolato da una legge speciale, siano applicabili i principi generali del codice di procedura civile in tema di esercizio dell’azione contenuti nel Titolo IV del codice di rito, ivi incluse le disposizioni in tema di intervento e chiamata in causa del terzo, i quali costituiscono istituti di applicazione generale, non limitati al solo processo ordinario di cognizione;

2) La disposizione di cui all’art. 99, comma 8, l.fall., non detta un disciplina completa ed esaustiva dell’intervento di soggetti nel giudizio di opposizione, ma, in ossequio alla natura “acceleratoria” del giudizio di opposizione, si limita a derogare alla regola generale di cui all’art. 268 c.p.c., prevedendo una più stringente preclusione temporal-processuale per l’intervento di eventuali interessati; ne consegue che non appare ammissibile desumere da tale disposizione una preclusione generale all’applicabilità in sé per sé dell’istituto stesso della chiamata in causa di terzo, dovendo al contrario ritenersi applicabili, in quanto non derogate espressamente, le norme generali in tema di intervento previste dal c.p.c. ex artt. 105 e ss.;

3) il tenore letterale dell’art. 99 l.fall. stesso non consente di ritenere che essa finisca con l’ammettere esclusivamente l’intervento (volontario) di terzo ex art. 105 c.p.c., in quanto il termine “intervento” viene previsto nel codice di rito quale termine generale con cui si designa la possibilità per un terzo soggetto di partecipare ad un giudizio già instaurato, indipendentemente dalle modalità con cui quest’ultimo è chiamato a parteciparvi; del resto, sfugge quale sia la ratio di consentire la partecipazione al giudizio di un terzo esclusivamente su intervento volontario, precludendo l’intervento per chiamata di una delle parti o del giudice stesso;

4) Non vi è alcuna incompatibilità in astratto tra la natura del giudizio di opposizione e la chiamata in causa di un terzo nello stesso, in quanto ogni eventuale profilo di inammissibilità dell’intervento per lesione della parità di trattamento dei creditori va accertato in concreto e comporterebbe, in ogni caso, una valutazione circa la inammissibilità o improcedibilità di eventuali domande spiegate dal terzo stesso, valutazione che non può sovrapporsi o confondersi con la diversa questione della ammissibilità o meno di un istituto generale, quale la chiamata in causa di terzi.

Ciò posto, con specifico riferimento alla chiamata in garanzia del terzo assicuratore da parte della Curatela Fallimentare, la sua attrazione alla cognizione del Tribunale Fallimentare risulta specificatamente giustificata in forza della vis actractiva sancita dall’art. 24 l.fall.

Il concetto di azione che deriva dal fallimento deve essere interpretato nel senso che il legislatore ha voluto attrarre alla competenza del Tribunale fallimentare tutte le azioni che originano dalla dichiarazione di fallimento o che, in conseguenza dell’apertura della procedura concorsuale, subiscono un mutamento strutturale, in relazione alla causa petendi e/o al petitum, attesa la necessità di realizzare “l’unità dell’esecuzione sul patrimonio del fallito” e, quindi, di concentrare queste azioni dinanzi al medesimo Tribunale.

Risulta evidente, quindi, come la domanda di manleva proposta dalla Curatela Fallimentare nei confronti della compagnia di assicurazione non possa che trovare la sua naturale trattazione nell’ambito del procedimento di accertamento del passivo previsto ex artt. 98 e ss. l.fall., in quanto l’eventuale condanna alla manleva in capo all’assicuratore è destinata a produrre effetti se ed in quanto il creditore insinuante/opponente ottenga l’ammissione al passivo del proprio credito, con conseguente diritto a partecipare alla ripartizione dell’attivo rimanendo la Curatela del tutto indifferente ad eventuali accertamenti o effetti extraconcorsuali .

La stessa domanda di manleva spiegata dalla Curatela non è che una domanda giuridicamente e logicamente consequenziale alla domanda di ammissione allo stato passivo, e come tale persegue finalità squisitamente interne al concorso sostanziale sui beni del fallito, essendo destinata a tutelare la massa stessa ed evitare sottrazione di attivo in favore di altri creditori concorsuali.

La chiamata in causa dell’assicurazione in questa sede realizza, inoltre, evidenti finalità di economia processuale, evitando la moltiplicazione dei procedimenti di cognizione mediante la realizzazione del simultaneus processus, così risultando la soluzione più conforme ai principi di concentrazione e speditezza che caratterizzano il procedimento di accertamento del passivo ai sensi della l.fall.

(*).