Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25838 - pubb. 07/09/2021

Effetti della morte del curatore sul giudizio pendente

Cassazione civile, sez. V, tributaria, 22 Luglio 2021, n. 21127. Pres. Manzon. Est. Leuzzi.


Fallimento – Morte del curatore – Giudizio pendente – Effetti



La morte del curatore postula il cambiamento della persona fisica investita della rappresentanza della procedura fallimentare; comporta, cioè, da un lato, l'ulteriore corso - senza soluzione di continuità - del fallimento (che, a propria volta, ha natura giuridica di processo), dall'altro lato, la mera sostituzione della persona fisica deceduta nell'ufficio che in precedenza ricopriva e che, pur a seguito dell'evento luttuoso, certamente permane.

Il concetto di rappresentanza legale, richiamato dall'art. 299 c.p.c., si riferisce soltanto alla rappresentanza conferita direttamente da una disposizione di legge, sicché la morte del curatore non può incidere sui mandati in precedenza da lui conferiti al difensore (v. con riferimento al cambiamento della persona fisica investita della rappresentanza della società o dell'ente, ma secondo un apparato di considerazioni mutatis mutandis mutuabili, Cass. n. 8584 del 1994, Cass. n. 10534 del 1998, Cass. n. 15735 del 2004).

Il decesso del curatore non è idoneo, d'altronde, nemmeno a rappresentare una causa di interruzione del processo (Cass. n. 7477 del 2017; Cass. n. 21153 del 2010). A venire in considerazione, avuto riguardo alla procedura concorsuale, è, infatti, il rapporto organico che lega una persona fisica, il curatore all’ufficio della curatela del fallimento, la cui pregnanza è tale da comportare l'irrilevanza del soggetto che detiene poteri di rappresentanza in seno ad un organo che esiste a prescindere dall'identità della persona fisica che pro tempore lo riveste.

Ne' il diritto di difesa della procedura concorsuale, ancorché sia spirato il curatore, può dirsi scalfito, sol che si consideri la possibilità per il fallimento di sostituire immantinente il deceduto. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


Fatti

La (*) s.p.a. ed i sigg.ri T.A., quale consigliere delegato, e X.G., quale legale rappresentante, impugnavano, con distinti ricorsi, gli avvisi di accertamento, relativi ad IVA, IRPEG ed IRAP degli anni 2004 e 2005, con i quali l'Agenzia Entrate di Viareggio recuperava a tassazione poste per le quali la società aveva indebitamente usufruito di speciali regimi agevolativi.

La CTP di Lucca, riuniti i ricorsi, li accoglieva.

Nelle more del gravame di merito proposto dall'Agenzia si costituiva la curatela del fallimento di (*) s.p.a.

L'appello andava incontro al rigetto da parte della CTR della Toscana. L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, che veniva accolto con la sentenza n. 8331 del 2012.

A seguito della riassunzione del giudizio dinanzi al giudice di rinvio, quest'ultimo, con sentenza n. 1408/1/14, accoglieva l'appello erariale e compensava le spese dell'intero giudizio.

La curatela del fallimento ha nuovamente proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR della Toscana, articolandolo su due motivi. Ha resistito l'Agenzia con controricorso.

 

Motivi

Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dall'Agenzia, ad avviso della quale la morte curatore fallimentare nelle more dell'esecuzione della notifica del ricorso per cassazione priverebbe d'ogni effetto la procura, travolgendo l'odierno giudizio.

La fattispecie riassunta non riceve una disciplina esplicita dalla Legge fallimentare; né il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza offre criteri espressi d'indirizzo.

Sul piano sistematico, nondimeno, convergenti profili escludono in radice che il decesso del curatore possa investire fino a rovesciarlo il presente giudizio.

Innanzitutto, parte del processo di cassazione non è la persona fisica del curatore, ma il fallimento, a salvaguardia delle cui ragioni il curatore è autorizzato dal giudice delegato a stare in giudizio.

La procedura concorsuale ha una soggettività giuridica ben distinta da quella propria del soggetto incaricato di gestirla secondo compiti annoverati precipuamente nella L. Fall., art. 25.

La morte del curatore postula il cambiamento della persona fisica investita della rappresentanza della procedura fallimentare; comporta, cioè, da un lato, l'ulteriore corso - senza soluzione di continuità - del fallimento (che, a propria volta, ha natura giuridica di processo), dall'altro lato, la mera sostituzione della persona fisica deceduta nell'Ufficio che in precedenza ricopriva e che, pur a seguito dell'evento luttuoso, certamente permane.

Il concetto di rappresentanza legale, richiamato dall'art. 299 c.p.c., si riferisce soltanto alla rappresentanza conferita direttamente da una disposizione di legge, sicché la morte del curatore non può incidere sui mandati in precedenza da lui conferiti al difensore (v. con riferimento al cambiamento della persona fisica investita della rappresentanza della società o dell'ente, ma secondo un apparato di considerazioni mutatis mutandis mutuabili, Cass. n. 8584 del 1994, Cass. n. 10534 del 1998, Cass. n. 15735 del 2004).

Il decesso del curatore non è idoneo, d'altronde, nemmeno a rappresentare - secondo l'orientamento sedimentato di questa Corte - causa di interruzione del processo (Cass. n. 7477 del 2017; Cass. n. 21153 del 2010).

A risaltare, avuto riguardo alla procedura concorsuale è il rapporto organico che lega una persona fisica, il curatore, ad un Ufficio, la curatela del fallimento; detto rapporto è tanto pregnante da decretare l'irrilevanza del soggetto che detiene poteri di rappresentanza in seno ad un organo che esiste a prescindere dall'identità della persona fisica che pro tempore lo riveste.

Ne' il diritto di difesa della procedura concorsuale, ancorché sia spirato il curatore, può dirsi scalfito, sol che si consideri l'opportunità per il fallimento di sostituire immantinente il deceduto; senza trascurare che della lesione del diritto sarebbe, comunque, legittimata a dolersi la sola parte colpita dalla prosecuzione del giudizio.

Con il primo motivo ricorso, la curatela denuncia la violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 132 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., avendo la CTR reso una motivazione generica e apodittica.

Con il secondo motivo di ricorso, la curatela censura la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, all'art. 118 disp. att. c.p.c. e agli artt. 2727,2729 e 2697 c.c., per avere la CTR reso una carente illustrazione delle critiche mosse dalla ricorrente, affidandosi ad un non meglio identificato "complessivo apparato indiziario".

I due motivi, adombrano in convergenza, un deficit della motivazione; il secondo acclude anche la deduzione di un vizio di violazione di legge.

Le censure sono suscettibili di trattazione unitaria, per intima connessione; esse sono fondate e vanno accolte.

La trama argomentativa della sentenza d'appello ha una connotazione telegraficamente apodittica, limitandosi ad addurre che "la pronuncia della Corte contiene una valutazione complessiva dell'apparato indiziario proposto dalla amministrazione, cui i contribuenti non hanno contrapposto attendibili elementi".

In buona sostanza, la CTR si limita ad un acritico e apodittico recepimento della sentenza di legittimità n. 8331 del 2012, senza esporre le ragioni a supporto della propria adesione e senza far mostra argomentata degli elementi concreti, in virtù dei quali le contestate operazioni siano da reputarsi fittizie.

Come chiarito da questa Corte "Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture" (Cass. n. 13977 del 2019; Cass., sez. un., 22232 del 2016).

Il ricorso va, in definitiva, accolto; ne consegue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa alla CTR della Toscana che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame e alla regolazione delle spese del giudizio.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla CTR della Toscana, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021.