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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 03/07/2018 Scarica PDF

Sulla compatibilità della qualità di Amministratore di società di capitali con quella di lavoratore dipendente

Emanuela Calamia, Avvocato in Napoli


Il Tribunale di Bologna, con due decisioni sostanzialmente contemporanee e di identico contenuto (entrambe in data 7 marzo 2018, in questa Rivista), affronta il tema della compatibilità della qualità di amministratore di società di capitali con quella di lavoratore dipendente.


La questione viene trattata in sede di opposizione allo stato passivo a fronte della esclusione, proposta dal Curatore ed avallata dal Giudice Delegato, di un credito per retribuzioni, motivata sulla scorta della affermata insussistenza del vincolo di subordinazione gerarchica.


In sede di opposizione allo stato passivo, la vicenda viene approfondita nel merito ed il Tribunale di Bologna accoglie le difese delle opponenti, valorizzando, da un lato, la documentazione fornita dalle lavoratrici, comprovante la sussistenza formale del rapporto di lavoro (contratto di assunzione, buste paga, estratto contributivo, CUD), in essere sin dal lontano 2002 ed evidenziando, altresì, la condotta contraddittoria posta in essere dalla stessa Curatela la quale, per prima, aveva dichiarato agli enti la sussistenza del rapporto di lavoro, sottoscrivendo anche il modello CUD 2017, quindi, attestando le retribuzioni complessivamente corrisposte, comprese quelle oggetto di causa.


Ricorda, peraltro, il Tribunale, il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione (Cassazione civile, sez. lavoro, 17.11.2004, n.21759), secondo il quale l'amministratore di una società di capitali può assumere la qualità di dipendente della stessa qualora non sia amministratore unico, ma membro di un consiglio, ancorché investito di mansioni di consigliere delegato, in modo che la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili ad una volontà distinta da quella del singolo amministratore.


E' stato così rilevato che, in entrambe le fattispecie sottoposte all'esame del Collegio, le lavoratrici erano state da sempre componenti del CdA, ma al contempo la presenza di un organo collegiale (CdA) deponeva per la conservazione del potere di gestione e rappresentanza in capo allo stesso collegio e non al singolo componente.


A corredo degli atti di opposizione, erano stati allegati la documentazione attestante la costituzione ed il regolare svolgimento del rapporto di lavoro (lettera di assunzione, buste paga, estratto contributivo, CUD), ed anche i verbali del CdA, a dimostrazione del corretto funzionamento dell'organo collegiale.


Secondo il Tribunale, dunque, a fronte della citata documentazione, opponibile alla procedura, la coesistenza in capo al medesimo soggetto della qualità di amministratore e di lavoratore dipendente, non poteva servire da sola a fondare un legittimo presupposto di esclusione del credito retributivo, non esistendo alcuna norma a sostegno di detta incompatibilità.


Incompatibilità riscontrata, invece, dalla giurisprudenza, in presenza di situazioni, del tutto peculiari, di coincidenza tra la qualifica di lavoratore dipendente e quella di Amministratore Unico, ossia di un soggetto che accentra su di sé tutti i poteri di gestione e rappresentanza dell'impresa (Cass. n.24188/2006).


Nelle due fattispecie sottoposte all'esame del Tribunale di Bologna, nessuna delle lavoratrici opponenti era, tuttavia, Amministratore Unico.


Le deleghe, attribuite da ottobre 2013 ad una sola di esse, erano limitate e ritenute non di ampiezza tale da fare venir meno il vincolo di subordinazione.


In definitiva, svolgendo le lavoratrici mansioni diverse da quelle di mera rappresentanza della società ed essendo comunque soggette al potere di controllo del Consiglio di Amministrazione, doveva riconoscersi la sussistenza dei presupposti identificativi del vincolo di subordinazione gerarchica, con conseguente accoglimento delle sollevate opposizioni.


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