Diritto Bancario e Finanziario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22797 - pubb. 11/01/2019

Credito dei lavoratori dipendenti, presupposti per l’azione contro il cessionario

Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 23 Novembre 2009, n. 24635. Pres. Roselli. Est. Nobile.


Liquidazione coatta bancaria - Credito dei lavoratori dipendenti - trattamento di fine rapporto maturato al momento della cessione -  Azione contro il cessionario - Presupposti



In conclusione si deve affermare che, nell'ipotesi di liquidazione coatta amministrativa di un istituto di credito e di cessione delle attività e passività o dell'azienda ad altro istituto, il credito dei lavoratori dipendenti avente ad oggetto il trattamento di fine rapporto - maturato fino al momento della cessione, possibile oggetto d'una azione di accertamento ed esigibile solo alla futura cessazione del rapporto, salve le eccezioni di cui all'art. 2120 cod. civ., commi dal sesto all'undicesimo - può essere fatto valere in giudizio contro l'istituto cessionario solo se lo stesso credito, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, risulti dallo stato passivo. (massima ufficiale)


 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente -

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -

Dott. NOBILE Vittorio - rel. Consigliere -

Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere -

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


Svolgimento del processo

Con sentenza n. 2681/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Palermo, rigettava la domanda proposta da P.A., il quale premesso di essere stato dipendente della Sicilcassa S.p.A. e di essere transitato, dopo che quest'ultima era stata posta in liquidazione coatta amministrativa, al Banco di Sicilia S.p.A., in forza dell'atto di "cessione di attività e passività" del (*), aveva chiesto la condanna del Banco di Sicilia alla riliquidazione del trattamento di fine rapporto con la inclusione, nella relativa base di calcolo, del compenso per il lavoro straordinario continuativamente prestato dalla data di assunzione a quella di cessazione del rapporto.

Contro tale pronuncia proponeva appello il lavoratore, chiedendo l'accoglimento della domanda.

Si costituiva in giudizio il Banco di Sicilia resistendo al gravame.

La Corte d'appello di Palermo, con sentenza depositata il 23-7-2008, confermava la sentenza di primo grado e compensava le spese.

In sintesi la Corte territoriale, dissentendo da quanto affermato da Cass. 3-1-2005 n. 36 (e ribadito dal Cass. 5-7-2007 n. 15161), ed aderendo, invece, alle conclusioni dettate da Cass. 2-3-2005 n. 4372 e Cass. 30-8-2006 n. 18713, riteneva che la specialità della norma della legge bancaria (D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90), ed in particolare la limitazione della responsabilità del cessionario alle passività risultanti dallo stato passivo ivi prevista, escludesse la responsabilità del Banco di Sicilia per la pretesa azionata dall'appellante relativamente al periodo del rapporto di lavoro intercorso con la Sicilcassa.

Per quanto riguardava, poi, il periodo successivo, alle dipendenze del Banco di Sicilia, la Corte d'appello, attesa la potestà derogatoria, ex art. 2120 c.c., comma 2, in capo contrattazione collettiva e analizzato il contenuto dell'art. 45 del ccnl del 1994 dei dipendenti delle Casse di Risparmio, affermava che dalla lettura delle voci indicate nel detto articolo del ccnl si ricavava agevolmente che i contraenti non avevano incluso, tra i compensi utili ai fini della determinazione della base di calcolo del trattamento di fine rapporto, il compenso per il lavoro straordinario.

La Corte di merito al riguardo rilevava che tale inclusione non poteva desumersi dalla previsione della norma collettiva dei "compensi percentuali" di cui alla lettera c) o di "ogni altra indennità di carattere continuativo e di ammontare determinato che non abbia natura di rimborso spese ", di cui alla lettera f).

Per la cassazione di tale sentenza il P. ha proposto ricorso con quattro motivi, corredati dai quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis.

La S.p.A. UNICREDIT (incorporante il Banco di Sicilia S.p.A.) ha resistito con controricorso.

Tanto il ricorrente quanto la contro ricorrente hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Il ricorrente ha anche depositato osservazioni ex art. 379 c.p.c., u.c..

 

Motivi della decisione

Col primo motivo (n.ri 1.-2.) il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2120 c.c. e L. n. 297 del 1982, art. 2, nonché vizi di motivazione, sostenendo che la sua pretesa avente ad oggetto la nuova determinazione quantitativa del trattamento di fine rapporto non poteva risultare dallo stato passivo dell'impresa già datrice di lavoro, poi posta in liquidazione coatta amministrativa e dante causa dell'atto di cessione delle attività e passività all'impresa convenuta nell'attuale giudizio. Infatti ad avviso del ricorrente il diritto al trattamento di fine rapporto non era ancora maturato nel momento di compilazione dello stato passivo e maturò soltanto successivamente, al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Col secondo motivo (n.ri 3. e 4.) il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362, 1363 e 2112 c.c., e vizi di motivazione, per avere la Corte d'Appello erroneamente interpretato il detto atto di cessione, ravvisandone l'oggetto nelle sole attività e passività dell'impresa cedente invece che nell'intera azienda, e per avere di conseguenza negato ai lavoratori le garanzie di cui all'art. 2112 c.c..

Col terzo motivo (n.ri 5. e 6.) il ricorrente prospetta la violazione dell'art. 2112 cit., D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, D.L. n. 292 del 1997, art. 1, conv. con L. n. 388 del 1997, L. n. 428 del 1990, art. 47, sostenendo anche con richiami della giurisprudenza comunitaria che i lavoratori avrebbero dovuto conservare tutti i loro diritti col passaggio dall'impresa cedente all'impresa cessionaria, risultassero o no dallo stato passivo della cedente.

I tre motivi, ciascuno come sopra rubricato con doppia numerazione e da esaminare insieme perché connessi, non sono fondati.

La fattispecie in esame rientra nella previsione del citato D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, a norma del quale (secondo comma) nel caso di liquidazione coatta amministrativa di un'impresa bancaria i commissari, con il parere favorevole del comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d'Italia, possono cedere le attività e le passività, l'azienda o rami d'azienda o anche beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. Il cessionario risponde comunque delle sole passività risultanti dallo stato passivo.

Questa Corte con le sentenze 2 marzo 2005 n. 4372 e 28 agosto 2006 n. 18713 ha osservato come il lavoratore dipendente dell'impresa cessionaria sia tutelato nei suoi diritti davanti ai competenti organi della liquidazione coatta amministrativa attraverso la procedura di verifica dello stato passivo, disciplinata dall'art. 86 D.Lgs. cit., e come egli non possa far valere davanti al giudice crediti non verificati nello stato passivo.

La regola vale con riguardo a qualsiasi tipo di vicenda circolatoria, cessione di attività e passività oppure di azienda oppure di ramo di azienda, e si giustifica anche nell'ordinamento comunitario (cfr.

L. Comunitaria n. 428 del 1990, art. 47) con la necessità di salvaguardare l'occupazione nel caso di crisi dell'impresa, agevolandone l'acquisto in tutto o in parte e così tutelando l'affidamento dell'acquirente, facendogli conoscere esattamente e con certezza lo stato patrimoniale attraverso il risultato di una procedura pubblica.

Pertanto l'art. 90 cit., é dotato di efficacia derogatoria, nel caso di cessione d'azienda o di ramo d'azienda, rispetto all'art. 2112 cit..

Né sussiste alcuna antinomia fra di esso ed il D.L. n. 292 del 1997, il quale con riferimento al periodo lavorativo successivo alla cessione assicura al prestatore di lavoro il mantenimento del trattamento economico e normativo di spettanza nell'impresa di provenienza.

Errata é poi la tesi del ricorrente, che nega la maturazione di alcuna pretesa del lavoratore, quanto al trattamento di fine rapporto, prima della cessazione del rapporto di lavoro. La tesi contrasta con la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il meccanismo di accantonamento previsto dall'art. 2120 cod. civ. permette di ravvisare diritti soggettivi del lavoratore anche nel corso del rapporto, tutelati sia con l'azione di mero accertamento sia con l'azione di condanna al pagamento delle anticipazioni permesse dallo stesso art. 2120 c.c. (ex multis Cass. 11-5-2000 n. 6046).

Per queste ragioni il collegio ritiene di non poter condividere le sentenze 30 gennaio 2005 n. 36 e 5 luglio 2007 n. 15161, che, nel caso di cessione di azienda e quanto agli accantonamenti per il t.f.r., ritengono la prevalenza dell'art. 2112 cod. civ. sul D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, nell'erroneo presupposto che solo con la fine del rapporto nasca ogni diritto del lavoratore.

In conclusione si deve affermare che, nell'ipotesi di liquidazione coatta amministrativa di un istituto di credito e di cessione delle attività e passività o dell'azienda ad altro istituto, il credito dei lavoratori dipendenti avente ad oggetto il trattamento di fine rapporto - maturato fino al momento della cessione, possibile oggetto d'una azione di accertamento ed esigibile solo alla futura cessazione del rapporto, salve le eccezioni di cui all'art. 2120 cod. civ., commi dal sesto all'undicesimo - può essere fatto valere in giudizio contro l'istituto cessionario solo se lo stesso credito, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, risulti dallo stato passivo.

Per quanto concerne le doglianze di vizi di motivazione, formulate dal ricorrente nei motivi sopra esposti, esse sono inammissibili poiché hanno ad oggetto non fatti concreti ed accertati in istruttoria ma il valore di fatti astrattamente rilevanti nell'interpretazione di norme di diritto applicate; in tal caso i lamentati ed ipotetici errori del giudice rilevano soltanto ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Con il quarto motivo (rubricato con i numeri 7, 8, 9 e 10) il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2120 cit., artt. 45 e 131 c.c.n.l. ACRI 19 dicembre 1994, artt. 1362 e 1363 cod. civ., art. 425 cod. proc. civ., sostenendo, con riguardo ai periodi lavorativi sia anteriore sia successivo al più volte ricordato atto di cessione, la necessità di includere il compenso per lavoro straordinario continuativo nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto.

Il motivo é privo di fondamento con riferimento al periodo lavorativo anteriore all'atto di cessione del (*), per le ragioni già dette a proposito dei precedenti motivi di ricorso.

Esso é invece fondato con riferimento al periodo successivo.

Con sentenza 6-3-2009 n. 5569 (v. anche Cass. 10-3-2009 n. 5707) questa Corte (pronunciando ai sensi dell'art. 420 bis c.p.c.) ha affermato che l'art. 45 c.c.n.l. cit., va interpretato nel senso che non contiene alcuna deroga all'art. 2120 cod. civ., comma 2, quanto al compenso per lavoro straordinario svolto in modo non occasionale ed ai fini della sua inclusione nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto.

Non sussistono motivi per discostarsi da questo principio di diritto, onde cassata sul punto la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Caltanissetta, la quale, uniformandosi al principio ora detto, procederà al nuovo calcolo del t.f.r..

Infine le spese di questo giudizio di cassazione e dei due gradi di merito possono essere compensate a causa della complessità delle questioni e delle suddette oscillazioni giurisprudenziali.



P.Q.M.

La Corte accoglie in parte il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri, cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Caltanissetta, compensa le spese di questo giudizio di cassazione e dei due gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2009