CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/01/2014 Scarica PDF

Continuità aziendale e contratti pubblici al tempo della crisi

Gian Paolo Macagno, Giudice


1. Crisi d’impresa ed opzioni dell’intervento normativo; 2. Premessa: nozione di concordato con continuità aziendale; 3. Concordato con continuità aziendale e disciplina contrattuale; 4. Disciplina del concordato preventivo e codice appalti: armonie e dissonanze; 5. Il ruolo dell’attestatore.


     

1. Crisi d’impresa ed opzioni dell’intervento normativo

La previsione di una specifica disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale, dal tratto – almeno nelle intenzioni del legislatore – fortemente agevolativo, rappresenta un’ulteriore manifestazione della chiara preferenza per la salvaguardia della continuità aziendale delle imprese rispetto all’alternativa liquidatoria espressa dai vari interventi legislativi.

Come è stato rilevato sin dalle prime letture del “decreto sviluppo” [1](d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, in vigore dall’11 settembre 2012), l’intervento ha confermato e ribadito l’opzione di incentivare l’“autodenuncia” della situazione di crisi da parte delle imprese, rispetto all’introduzione di misure esterne di allerta e prevenzione, come al contrario è rilevabile nella legislazione di altri Paesi, ad iniziare dalla Francia.

Indipendentemente dalle modalità di intervento, l’attenzione è concentrata sul fattore tempo, assolutamente fondamentale per il salvataggio dell’impresa in crisi.

In realtà una sorta di sistema di allerta – non privo di efficacia - già esiste ma, come spesso avviene nel nostro Paese, è figlio dell’iniziativa dei singoli e non di precise scelte programmatiche.

E’ noto infatti il fenomeno per cui molte imprese in crisi di liquidità o comunque in difficoltà, tendono ad autofinanziarsi a spese del creditore pubblico, evitando di versare le imposte regolarmente dichiarate, ed in particolare l’IVA.

Tale condotta è da rilevarsi come dato oggettivo, senza preconcette valutazioni di natura morale, anche perché a seconda dei casi specifici può essere indotta da banali finalità di distrazione delle risorse per ragioni personali dell’imprenditore, oppure (e questa è la fattispecie più comune) come estremo tentativo per evitare la paralisi irreversibile dell’attività aziendale, salvaguardando il pagamento dei creditori strategici – fornitori e dipendenti, in attesa di tempi migliori. E’ quasi superfluo evidenziare come molti degli imprenditori che ricorrono a tale artifizio siano a loro volta creditori per importi importanti, se non addirittura superiori al loro debito fiscale, nei confronti della pubblica amministrazione. E’ parimenti noto l’impegno posto in essere dai recenti governi al fine di procedere ad un pagamento sollecito dei debiti della PA.

Il sistema di allerta, come stavo anticipando, è rinvenibile nei protocolli di lavoro concordati dalle Procure della Repubblica con gli Uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate: le Agenzie allertano il pubblico ministero quando il mancato versamento dell’IVA supera l’importo penalmente rilevante, ovvero viene omesso il versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, anch’esso rilevante ai fini penali. Il PM a questo punto procede alla richiesta di dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 7, n. 1) legge fall.

La tempestività dell’intervento è decisiva la fine di evitare, nei casi “patologici”, l’incancrenirsi del danno erariale ma soprattutto, nei casi purtroppo “fisiologici”, di imprese aziendalmente e commercialmente vitali ma strangolate dal credit crunch delle banche, dall’inadempimento della clientela (in primis la pubblica amministrazione), consente all’imprenditore di evitare la crescita del debito fiscale a livelli irreversibili ed imboccare con maggiore tempestività la strada delle soluzioni concordate della crisi d’impresa, od anche solamente della trattativa con l’erario per il pagamento dilazionato del debito.

Sicuramente la precoce emersione della crisi consentirebbe un più agevole ricorso a soluzioni di concordato preventivo che conservino in tutto o in parte la continuità dell’attività aziendale.

Al riguardo vanno fatte ancora due considerazioni.

La prima è che il meccanismo di allerta descritto, per quanto non privo di una certa brutalità nell’approccio, cerca di compensare la diffusa carenza di analoghi sistemi interni alle imprese, soprattutto quelle di più ridotte dimensioni che rappresentano la maggioranza.

La seconda è che la decisione – spontanea o forzata – dell’impresa di percorrere la via della conservazione del valore economico e sociale dell’attività (sempre che ancora vi sia) deve essere accompagnata da una disciplina normativa che consenta ed agevoli tale opzione.

Qui il cerchio in un certo senso si chiude, perché viene chiamato direttamente in causa l’oggetto del dibattito di queste giornate.

   

2. Premessa: nozione di concordato con continuità aziendale

Mi sembra ora opportuno, prima di affrontare il tema della disciplina dei contratti con la pubblica amministrazione nell’ambito dei concordati con continuità aziendale, operare alcune brevi considerazioni preliminari.

La prima riguarda la nozione di concordato con continuità aziendale adottata dalla normativa. Come è noto, l’intervento normativo ha offerto una positiva indicazione del discrimine tra concordato con cessione dei beni, regolato dall’art. 182 l.fall., la cui disciplina scatta se “il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente” e concordato con continuità aziendale, oggi disciplinato dall’art. 186-bis.

La disciplina di recente introduzione abbraccia un ambito molto ampio, ricomprendendo varie modalità di esplicazione, alcune delle quali ben difficilmente – in precedenza – erano comunemente ricondotte alla figura del concordato con continuità aziendale, di cui si ammetteva peraltro la configurabilità, stante l’ampia autonomia consentita dall’art. 160 l.fall.[2]

In particolare, prima della novella del 2012, la continuità era ravvisata esclusivamente nelle ipotesi di prosecuzione dell’attività da parte dell’imprenditore in crisi (continuità “soggettiva”), mentre il trasferimento del complesso produttivo era ricondotto al genus del concordato con cessio bonorum[3].

Come è stato immediatamente rilevato, la nuova disciplina presenta non poche affinità con l’impostazione propria della legge Prodi-bis, in materia di amministrazione straordinaria[4]. Analogamente, l’odierna disciplina del concordato preventivo trova applicazione alla continuità aziendale intesa in senso tanto soggettivo quanto oggettivo: essa, invero, sussiste sia che l’imprenditore prosegua l’attività in proprio, sia che egli proceda alla cessione del complesso produttivo a un soggetto terzo, indipendentemente dalla forma di trasferimento, essendo ammessi la compravendita come il conferimento (anche in una realtà di nuova costituzione)[5].

In entrambi i casi trovano pertanto applicazione le regole di cui all’art. 186-bis fall. disciplina ad applicazione in linea di principio necessaria.

Il confronto con le fattispecie concrete di piano concordatario comporta peraltro difficoltà qualificatorie spesso di non agevole soluzione, in particolare laddove il piano medesimo preveda, oltre alla prosecuzione dell’attività, la liquidazione di beni aziendali.

E’ stata autorevolmente suggerita, nei casi di concordato c.d. “misto”, l’applicazione della regola dell’assorbimento o della prevalenza, dovendosi accertare se la prosecuzione dell’attività sia meramente funzionale alla migliore liquidazione dell’attivo concordatario, ovvero se la liquidazione sia limitata a beni da ritenersi non strategici e non sia ostativa alla proclamata volontà di continuazione dell’attività aziendale[6]. Nella prassi applicativa, nelle ipotesi di più difficile decifrazione si può ricorrere allo strumento della richiesta di chiarimenti di cui all’art. 162, primo comma, l.fall.

La questione che si pone con particolare delicatezza con riferimento ad una delle ipotesi che si riscontrano con maggiore frequenza nella pratica, e purtuttavia non espressamente disciplinata dall’art. 186-bis, è quella che vede l’affitto di azienda come elemento del piano concordatario con previsione di continuità aziendale.

Nell’applicazione giurisprudenziale non solleva particolari dubbi la previsione dell’affitto come elemento del piano concordatario, finalizzato al trasferimento dell’azienda, comunemente ritenuto riconducibile all’ambito disciplinato dall’art. 186-bis l.fall., con le necessarie implicazioni sul contenuto dell’attestazione (l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d'impresa prevista dal piano verrà notevolmente semplificata sotto il profilo dei ricavi, che vanno ad identificarsi con il canone d’affitto previsto)[7].

Non mancano peraltro voci contrarie che escludono in radice l’applicabilità della disciplina in caso di affitto di azienda: in particolare, si sarebbe nell’ambito del concordato di continuità tutte le volte in cui (e fino a quando) il rischio d’impresa ricada sull’imprenditore-debitore mentre ne saremmo fuori quando il debitore sia esente dal rischio, i canoni di locazione essendo stabiliti in cifra fissa e indipendente dall’andamento dell’attività, in quanto in tal caso il rischio dei creditori risulta legato più alla solvibilità dell’affittuario che alle prospettive di prosecuzione dell’attività[8].

Una maggiore difformità di vedute si ha con riferimento ai c.d. concordati chiusi, definiti tali quando il piano e una proposta siano preconfezionati in virtù di un contratto di affitto anteriormente stipulato e di una proposta di acquisto dell’azienda condizionata all’omologa. Merita di essere citata a tale riguardo la recentissima pronuncia[9] del Tribunale di Mantova del 19 settembre 2013 (Est. Laura De Simone), secondo la quale “Può rientrare nella previsione dell’art. 186 bis L.F. l’ipotesi in cui prima della presentazione della domanda di concordato la proponente abbia affittato l’azienda in esercizio, contemplando nel piano la prosecuzione dell’attività per mezzo della cessione dell’azienda.

 

3. Concordato con continuità aziendale e disciplina contrattuale

Una seconda doverosa premessa deve essere dedicata alla disciplina generale dei contratti nel concordato preventivo con continuità aziendale.

La prosecuzione dell’attività d’impresa comporta inevitabilmente la prosecuzione dei rapporti pendenti. Trattasi di un dato di fatto che trova sicura conferma nel dettato dell’art. 186-bis l. fall., che al terzo comma dispone che “Fermo quanto previsto nell'articolo 169-bis[10], i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura”[11].

Per la verità, come è stato evidenziato[12], nel regime delineato dall’art. 169-bis, la prosecuzione dei rapporti pendenti si atteggia quale effetto naturale di qualsivoglia species di concordato preventivo: l’imprenditore che invoca l’ammissione al concordato ha infatti la mera facoltà di domandare all’autorità giudiziaria l’autorizzazione allo scioglimento unilaterale ovvero alla sospensione del rapporto in via di esecuzione.

Quello che caratterizza peculiarmente la disciplina del concordato con continuità è l’espressa previsione di inefficacia degli eventuali patti contrari, che, analogamente a quanto accade nella procedura fallimentare con riguardo al curatore, rimette integralmente alla potestà del contraente in stato di crisi o di insolvenza la sopravvivenza o meno del rapporto negoziale, pur in presenza di contrarie pattuizioni. L’art. 72, sesto comma, l. fall. prevede infatti - specularmente - che “Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento”.

La precisazione, a prima vista quasi inutile, in quanto la precedente affermazione, per cui i contratti proseguono varrebbe di per sé ad escludere la facoltà della risoluzione, potrebbe trovare la sua ragioned’essere quale chiave di lettura della successiva disciplina contenuta nell’articolo in esame, riferita ai contratti stipulati con pubbliche amministrazioni[13].

L’inderogabilità, non applicabile al concordato liquidatorio, per cui continuerebbero ad applicarsi le ordinarie regole in tema di risoluzione contrattuale[14], peraltro inquinate dalla eccentrica facoltà di sospensione – e quindi di lecito inadempimento - del contratto troverebbe pertanto la sua ratio proprio con riferimento alla volontà di stabilizzare i contratti stipulati con la controparte pubblica.

Un cenno va inoltre dedicato alla ricognizione della disciplina della stipulazione di nuovi contratti nell’ambito del concordato preventivo.

Ora, in via generale è previsto un regime autorizzatorio per gli atti di amministrazione straordinaria, tendenzialmente inteso a dare copertura a tutte la fasi della procedura concordataria, ivi compreso quella del c.d. pre-concordato. Il riferimento è al sottosistema rappresentato dagli artt. 167 e 161, settimo comma, l.fall.).

Nessun vincolo è al contrario posto alla facoltà dell’imprenditore di compiere atti di ordinaria amministrazione.

Per la stipulazione di nuovi contratti nell’ambito del concordato con continuità non sono previste regole differenti, con le dovute precisazioni: l’attività contrattuale, purché inerente al core business dell’impresa - nel concordato con continuità - non dovrebbe in linea di massima costituire attività di amministrazione straordinaria, e avrà necessariamente trovato opportuna ostensione, anche prospettica, nel piano.

L’art. 186-bis, secondo comma, lett. a) prevede infatti che il piano concordatario di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e), contenga tra l’altro “un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d'impresa prevista dal piano di concordato”, il che rende necessaria quanto meno una descrizione di tale attività anche sotto il profilo negoziale.

Per completare il quadro all’interno del quale va ad integrarsi la disciplina speciale prevista per i contratti con la PA, deve essere ancora evidenziato che, seppur non pacifico in dottrina[15], trova nella prassi applicativa frequente riscontro l’orientamento che ritiene applicabile la disciplina di cui all’art. 169-bis anche al pre-concordato ex art. 161, sesto comma, l.fall.

Il chiaro riferimento dell’art. 169 bis al «ricorso di cui all’art. 161» non pare consentire l’esclusione a priori della fattispecie prenotativa di cui al suo sesto comma[16]

Nel contempo si renderà necessaria al fine dell’ottenimento delle speciali autorizzazioni una condotta del debitore improntata alla preventiva adeguata indicazione del contenuto del piano e della proposta, sia pure non ancora definitivi e suscettibili di modifiche[17].

In una prospettiva di coerenza, anche nell’ipotesi di concordato con riserva dovrà ritenersi ammissibile la disciplina speciale di cui all’art. 186-bis l.fall., così come dovrà ritenersi operante l’inefficacia delle clausole risolutive ipso iure, purché il debitore ricorrente offra sufficienti elementi per qualificare proposta e piano come caratterizzati dall’indubbia possibilità della continuazione dell’esercizio dell’attività d’impresa.

Anzi, pare di potersi sostenere che la - più radicale - opinione contraria (alla praticabilità del concordato prenotativo in continuità e di conseguenza all’applicazione della disciplina speciale) penalizzerebbe fortemente il ricorso in sé alla procedura, imponendo di fatto una irragionevole cesura alla prosecuzione dell’attività, in attesa della formalizzazione di proposta e piano concordatari[18].

 

4. Disciplina del concordato preventivo e codice appalti: armonie e dissonanze

Le soluzioni interpretative generali – inevitabilmente provvisorie – che si è tentato di suggerire vanno ora confrontate con la disciplina speciale in materia di appalti, di cui al D. Lgs. n. 163/2006 (c.d. “codice appalti”).

Si è già premesso come, nel concordato con continuità, la regola della prosecuzione dei contratti pendenti si applichi anche a quelli stipulati con le pubbliche amministrazioni, sebbene a determinate condizioni.

Come disposto dall’art. 186-bis comma terzo, legge fall., i contratti “non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura” ed è espressamente prevista l’inefficacia dei patti contrari.

Contestualmente il citato articolo, al terzo comma, impone l’onere di presentare una specifica attestazione, che va ad aggiungersi a quella generale prevista alla lettera b) del secondo comma per il concordato in continuità ed avente ad oggetto la “funzionalità della prosecuzione dell’attività d'impresa prevista dal piano di concordato rispetto al miglior soddisfacimento dei creditori”. Il professionista deve attestare la “conformità al piano” della prosecuzione del contratto e la “ragionevole capacità di adempimento” dell’impresa.

Di tale continuazione può beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la società cessionaria o conferitaria d'azienda o di rami d'azienda cui i contratti siano trasferiti. La previsione è coerente con la nuova – ampliata – accezione di concordato con continuità.

Il giudice delegato, all'atto della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni. Per inciso, e pur non essendo questa la sede per affrontare tale questione, va rilevato come, pur in una disciplina che tende ad esaltarne gli aspetti negoziali, nel panorama “anfibio” del concordato preventivo sia ravvisabile inevitabilmente un indice pubblicistico, relativo alla perdurante natura – seppure sui generis – coattiva degli atti di trasferimento nel concordato preventivo.

E’ inoltre possibile, per le imprese in concordato preventivo con continuità aziendale, partecipare alle procedure di assegnazione di nuovi contratti pubblici.

Oltre all’attestazione generale sulla prosecuzione dell’attività di cui all’art. 186-bis, secondo comma, lett. b) e quella supplementare di cui si è detto, l'impresa deve presentare in gara (ex art. 186-bis, comma quarto, lett. b), la “dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché' di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto”. La norma fa espresso riferimento all’istituto dell’avvalimento di cui all'articolo 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, la cui applicazione viene estesa alle imprese in concordato.

Infine, e questa è la terza ipotesi, disciplinata dal quinto comma dell’art. 186-bis l.fall., l'impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale. In tal caso la dichiarazione di impegno può provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento.

Il riferimento è alla disciplina dell’art. 37, secondo comma del codice appalti in materia di ATI.

Un primo dubbio investe la posizione della mandataria nei contratti pendenti al momento della presentazione del ricorso: la regola della prosecuzione di cui al terzo comma dovrebbe valere – e non si vede perché dovrebbe essere il contrario - anche per i contratti in corso di esecuzione da parte dell’ATI, e quindi il contratto dovrebbe poter proseguire con l’ATI, anche se la mandataria accede al concordato. A tale considerazione consegue peraltro il rilievo dell’irrazionale disparità di trattamento, rispetto alle più severe regole di ammissione a nuovi contratti che penalizzano le ATI la cui mandataria acceda al concordato.

Ci si potrebbe inoltre chiedere quale sia il significato della regola di esclusione dell’ATI dalle procedure di assegnazione: in particolare, se essa ponga il limite di una sola impresa in concordato per raggruppamento ovvero se richieda che tutte le imprese aderenti lo siano. La lettura corretta pare dover essere la prima: in tale ipotesi risulterebbe quindi irrilevante la posizione di mandataria della seconda impresa aderente che, entrando in concordato, comporterebbe comunque il raggiungimento della massa critica che impedisce la partecipazione alla procedura di assegnazione di contratti pubblici.

Infine, con evidenti intenti di armonizzazione tra i due sottosistemi - concorsuale e dei pubblici appalti - il c.d. “decreto sviluppo” ha coerentemente modificato l’art. 38 del codice appalti, introducendo un’apposita deroga alla regola di esclusione di cui al comma primo, lett. a) per cui “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all'articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”.

La disciplina pone una serie di questioni, non sempre di agevole soluzione, anche perché la formulazione della norma – a seguito della modifica introdotta – non risulta delle più felici.

Di estrema delicatezza e primaria importanza è l’individuazione dell’ambito di copertura, rispetto alle fasi della procedura concordataria, della deroga prevista rispetto alla causa di esclusione di cui all’art. 38, primo comma, lett. a), del d.lgs. 163/2006.

La novella del 2012 ha infatti lasciato invariato l’inciso contenuto nell’art. 38, terzo comma, del codice appalti, in forza del quale continua a prevedersi l’esclusione delle imprese “…nei cui riguardi sia in corso procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”, con tale improprio termine intendendosi il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa ed il concordato preventivo.

Operando un’interpretazione letterale di tale inciso, precedentemente alle modifiche apportate dal decreto sviluppo si riteneva causa ostativa alla prosecuzione o all’assegnazione dell’appalto già la presentazione del ricorso per concordato preventivo[19].

Due recenti pronunce del giudice amministrativo hanno offerto soluzioni diametralmente opposte.

Il TAR del Friuli Venezia Giulia, nel marzo del 2013[20], sposando la logica sottesa al decreto sviluppo e privilegiando quindi “le esigenze di favor partecipationis e di valorizzazione delle prospettive di risanamento aziendale, sottese alla ratio della nuova norma fallimentare”, ha ritenuto che la mera “documentata istanza di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale consenta di ammettere l’impresa alla gara pubblica”.

Il Collegio giudicante ha così optato per un’interpretazione della norma coerente con le finalità della disciplina del concordato con continuità, apertamente censurando l’illogicità di una sterile applicazione letterale, che condizionerebbe all’effettiva ammissione alla procedura concordataria la possibilità di partecipare alla selezione, “con la conseguenza di ricondurre l’effetto escludente al deposito della domanda di concordato e non anche al decreto di ammissione alla medesima procedura”.

Di contrario avviso è stato invece il TAR della Valle d’Aosta che, con una pronuncia del mese successivo[21], che ha fatto leva sulla natura eccezionale delle deroghe alle cause di esclusione contenute nell’art. 38 cod. appalti contenute nelle norme che disciplinano il concordato con continuità aziendale, ritenute pertanto di stretta interpretazione ed applicazione.

Sotto un profilo meno formale, il TAR valdostano ha ritenuto prevalente, rispetto alle finalità di conservazione dell’attività imprenditoriale, l'esigenza di assicurare il rispetto del principio di speditezza e di stabilità delle gare d'appalto. Ha osservato come “sotto tale aspetto, l'ipotesi che si possa tenere conto della ratio della norma introduttiva dell'istituto del concordato con continuità aziendale, tanto da superare la previsione della necessità di ammissione al concordato anteriormente alla conclusione della gara, esporrebbe la procedura di gara ad una durata non preventivabile, anche in conseguenza del possibile esito negativo della procedura concordataria”. Tale ipotesi, infine, rivelerebbe “ulteriori limiti nei frequenti casi in cui, per ottenere il finanziamento degli appalti, debbano essere rispettati termini perentori entro cui le procedure debbano essere concluse e gli appalti eseguiti”.

E’ di solare evidenza come l’eventuale affermazione dell’orientamento maggiormente rigoroso, pur non privo di pregio argomentativo, limiterebbe di molto l’applicazione della disciplina di cui all’art. 186-bis ai contratti pubblici, depotenziandone gli effetti, auspicati dal legislatore del decreto sviluppo, sul tessuto economico.

In particolare, tale modo di argomentare comporterebbe, come logica conseguenza, anche con riferimento alla prosecuzione dei contratti pubblici pendenti, ritenere non ostativa solamente l’ammissione al concordato e non la mera presentazione del ricorso, a maggior ragione se in forma prenotativa ai sensi dell’art. 161, sesto comma, l.fall. Si condannerebbe così la disciplina ad un destino di assoluta inapplicabilità, producendosi nello iato tra ricorso ed ammissione la sospensione delle commesse pubbliche. Ed allora non possono che rivalutarsi gli argomenti già anticipati in merito alla applicabilità in toto al concordato con riserva della disciplina della continuità aziendale.

Ad ogni buon conto, una volta pronunciata l’omologa si è senza dubbio al di fuori, dell’eventuale effetto ostativo dell’art. 38 cod. appalti. Come espressamente affermato dal Consiglio di Stato[22], la dizione "in corso" non può che riferirsi alla fase precedente alla "omologazione" del concordato, la quale, coerentemente con i principi generali, "chiude" la procedura dell'ammissione al concordato stesso, posto che il decreto di autorizzazione alla chiusura emesso dal Tribunale nelle funzioni di sorveglianza e controllo attribuite agli organi fallimentari costituisce atto conseguenziale ed esecutivo del concordato riguardo al complesso di obbligazioni assunte dal debitore con il concordato.

Non è peregrino evidenziare come d’altro canto l’applicazione della normativa in esame incontri ulteriori ostacoli nella normativa pubblicistica: in particolare, è un dato di comune esperienza che le imprese in concordato, e non sfuggono a tale regola quelle che aspirano alla conservazione della continuità aziendale, siano “debitrici abituali" dell’erario, in forza del noto fenomeno di autofinanziamento di cui si è dato cenno all’inizio di questo intervento.

Ai sensi dell'art. 38, co. 1, lett. g), del D.Lgs. n. 163/2006, non possono partecipare a gare d'appalto pubbliche i soggetti "che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse". Secondo l’interpretazione del Consiglio di Stato, detta norma inibisce alle imprese che non abbiano ottenuto la dilazione di pagamento delle somme iscritte a ruolo la partecipazione alle gare d'appalto[23]. E’ evidente che peraltro tale dilazione non potrà essere onorata regolarmente nel corso della procedura concorsuale, intervenendo una moratoria dei pagamenti di ordine generale.

Ulteriore frequente ostacolo è il mancato rilascio del Documenti Unico di Regolarità Contributiva (DURC), presupposto necessario per l’assegnazione o la prosecuzione dei contratti pubblici, a causa degli inadempimenti anteriori al ricorso alla procedura concorsuale. Peraltro gli enti previdenziali si accontentano spesso di una qualche forma di “nullaosta da parte del giudice delegato o del Tribunale fallimentare. Paradigmatico è il recente provvedimento del Tribunale di Cosenza[24], relativo ad una impresa fornitrice di aziende sanitarie. Ha ritenuto – condivisibilmente - il Collegio che, nel concordato preventivo, al divieto generale di cui all'articolo 168, legge fall. di pagare i creditori anteriori consegua l’applicabilità della disciplina eccezionale di cui al comma 2, lett. b, art. 5 D.M. 24 ottobre 2007, il quale consente il rilascio del DURC anche in "caso di sospensione dei pagamenti (contributivi) a seguito di disposizioni legislative”. Il dispositivo consiste comunque in un mero “nulla osta”, competendo all’autorità amministrativa la potestà di rilascio o meno del certificato.

Dalle – ancora rare - pronunce giurisprudenziali rinvenibili pare potersi comunque trarre una ulteriore considerazione che attiene alla delimitazione della sfera di intervento del giudice ordinario / fallimentare rispetto a quello amministrativo.

Occorre richiamare quanto in precedenza osservato, in merito alla non necessità – in linea di principio – della specifica autorizzazione del giudice delegato (ovvero del tribunale, a seconda della fase) per la prosecuzione o la stipulazione di nuovi contratti, laddove essi non costituiscano atti di straordinaria amministrazione per l’impresa in concordato e trovino una adeguata esposizione nel piano.

Al contrario, per quanto riguarda i contratti pubblici, la loro peculiare natura e la necessità di un apposito controllo avente ad oggetto la presenza dei presupposti speciali, in primis le attestazioni, pare comportare la necessità di un vaglio giudiziale condotto caso per caso, già in sede di ammissione del concordato in continuità ovvero successivamente, ex art. 167 l.fall. In tal senso può leggersi la pronuncia del Tribunale di Vicenza del 7 febbraio 2013, che ha ad oggetto per l’appunto la reiezione dell’autorizzazione per difetto dei presupposti formali (nella specie l’attestazione di funzionalità al miglior interesse dei creditori.[25])

Come si è visto dalle pronunce dei TAR citate, le Pubbliche amministrazioni e di conseguenza il giudice amministrativo non operano alcun sindacato sulla vicenda concorsuale: le diverse posizioni manifestate attengono alla sufficienza o meno della mera presentazione del ricorso in continuità rispetto all’ammissione alla procedura, ma la qualificazione del concordato come tale resta – e non potrebbe essere altrimenti – incombenza interna all’ambito della procedura.

In quest’ottica si comprende forse meglio, pur senza condividerlo, l’orientamento che nega accesso ai contratti pubblici nella fase precedente all’ammissione al concordato. Anteriormente al provvedimento di ammissione da parte del tribunale, nella fase introdotta dal ricorso, a maggior ragione se presentato con riserva (situazione in cui la continuità aziendale potrebbe risolversi in nulla più di una mera velleità), potrebbe ritenersi mancante una stabile statuizione del giudice ordinario in merito al concordato. In realtà, tale perplessità può agevolmente essere superata, in quanto a tale – presunta - carenza supplisce l’attestazione speciale di conformità al piano e di ragionevole capacità di adempimento del contratto, soggetta a vaglio autorizzativo del giudice.

   

5. Il ruolo dell’attestatore

La normativa in tema di concordato con continuità aziendale è ulteriore espressione della generale tendenza espansiva del ruolo assegnato al professionista attestatore nelle procedure alternative di soluzione della crisi d’impresa: il dato viene acquisito per la sua evidenza empirica, non essendo questa la sede per ulteriori considerazioni a tale riguardo.

Dall’attestazione generale di cui all’art. 161, comma terzo, l.fall. sulla veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, all’attestazione opzionale di cui all’art. 160, secondo comma, avente ad oggetto il trattamento dei creditori privilegiati falcidiati, alle attestazioni previste per i finanziamenti di cui all’art. 182-quinquies il panorama si è via via arricchito.

Come si è anticipato, con riferimento al concordato con continuità assume rilevanza centrale quale criterio di riferimento per l’attestatore la finalità del “miglior soddisfacimento dei creditori”[26]. La lettera b) del secondo comma dell’art. 186-bis l. fall. richiede infatti all’attestatore di esprimere un giudizio sulla funzionalità della prosecuzione dell’attività rispetto a tale obiettivo. Si tratta di giudizio, che affianca quello “ordinario” di veridicità dei dati aziendali e fattibilità del piano, e che trova la propria ratio nel fatto che la continuità presenta un proprio fabbisogno la cui copertura assorbe risorse finanziarie che come tali non sono messe al servizio dei creditori anteriori al concordato. Ne consegue l’esigenza di chiamare l’attestatore ad esprimersi, nell’interesse dei creditori concorsuali, sul fatto che, nonostante tale sottrazione, ci si attende un loro miglior soddisfacimento, pur in presenza del regime di prededuzione dei crediti sorti nel corso della procedura sino alla data di omologa.

Il giudizio in ordine alla funzionalità della prosecuzione dell’attività d’impresa al miglior soddisfacimento dei creditori si sostanzia in una valutazione differenziale, nell’ottica dei creditori pregressi, rispetto alle alternative concretamente praticabili che prescindano dalla continuità d’impresa.

Si osserva peraltro che il riferimento al “soddisfacimento dei creditori”, espressione letterale ben diversa da quella contenuta nell’art. 160 l.fall., primo comma, lett. a), dove si parla di “soddisfazione dei crediti”, fa ritenere che il legislatore non abbia ancorato il giudizio di legittimità della proposta al presupposto che ai creditori, in forza della continuità aziendale, venga comunque promessa una qualche maggior attribuzione patrimoniale, anche se diversa dalla dazione in denaro.

Assumerebbero così rilevanza le c.d. “utilità esterne” quali la prosecuzione del rapporto con i fornitori, il completamento da parte di appaltatori delle attività in corso, financo l’esenzione dalla revocatoria. E’ pur vero che il professionista è solo in grado di descrivere, ma non di valorizzare le “utilità esterne” per le singole classi di creditori, in quanto diversamente non potrebbe formulare un giudizio favorevole di “vantaggio” economico fondato su dati certi ed inoppugnabili. La descrizione delle utilità esterne appare comunque opportuna nell’ottica di fornire ai creditori ogni elemento utile per l’espressione del proprio consenso informato sulla proposta concordataria. Proprio a tale proposito è stato autorevolmente sostenuto[27] che il principio di miglior soddisfacimento dei creditori possa ritenersi clausola generale per il concordato preventivo tout court.

Relativamente al termine di confronto rispetto al quale l’attestatore deve formulare il richiesto giudizio di comparazione quantitativa, è ragionevole ritenere che esso consista di norma nell’alternativa della liquidazione atomistica.

Per quanto riguarda l’attestazione speciale per la continuazione dei contratti pubblici meritano di essere evidenziati alcuni aspetti salienti. Alla nozione di conformità al piano deve essere attribuito un significato di coerenza, nel senso che l’esecuzione del contratto pubblico deve essere e dedotta nel piano medesimo e i relativi effetti, in termini di flussi di costi e di ricavi e di assorbimento e generazione di risorse finanziarie, sono riflessi nelle grandezze economiche e finanziarie del piano stesso, nell’orizzonte temporale di riferimento.

Verosimilmente l’attestatore dovrà verificare anche l’aspetto della funzionalità, nel senso di utilità della prosecuzione del contratto rispetto all’obiettivo della continuazione e del risanamento dell’impresa.

Infine, nel caso di continuità “indiretta” attraverso cessione o conferimento di un ramo di azienda comprendente i contratti pubblici, posto che la norma riconosce il beneficio della continuazione, in presenza dei requisiti di legge, alla società cessionaria o conferitaria, l’attestazione di conformità dovrebbe contemplare sia la verifica di riferibilità del contratto pubblico al ramo d’azienda oggetto di trasferimento, sia, si ritiene, la stessa trasferibilità del contratto a mente del disposto dell’art. 116 del D.Lgs. 163/2006, con particolare riferimento alla effettiva configurabilità quale ramo aziendale del coacervo di beni, diritti e rapporti oggetto di trasferimento.

Il giudizio in merito alla ragionevole capacità di adempimento dei contratti pubblici presuppone e specifica - necessariamente - quello di fattibilità del piano, con la precisazione che il riferimento alla ragionevolezza pare da intendere in termini di necessaria attenuazione del giudizio prognostico richiesto al professionista.

Una possibile chiave di lettura è, pertanto, che al professionista sia, in particolare, richiesto di esprimersi sulla non ricorrenza, attuale e prospettica, di situazioni, di fatto o di diritto, incompatibili con il regolare adempimento del contratto e tali, per converso, da dar luogo a un inadempimento legittimante la risoluzione del contratto. Sotto tale ultimo profilo occorre richiamare la disciplina contenuta nell’art. 136 D.Lgs. 163/2006 che regola la risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo, per tali intendendosi comportamenti dell’appaltatore che concretizzano un grave inadempimento alle obbligazioni di contratto, tale da compromettere la buona riuscita dei lavori. Pare ragionevole che, al fine di rendere il giudizio richiesto, l’attestatore verifichi anche il possesso, attuale e prospettico, dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento disposti dal D. Lgs. 163/2006[28], tenuto conto delle disposizioni di attuazione di cui al Regolamento approvato con D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207. Ciò si pone, fra l’altro, in linea con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale i requisiti devono essere posseduti sia in fase di partecipazione alla gara sia durante l’esecuzione del contratto.

La valutazione della ragionevole capacità di adempimento nell’ambito di un piano di risanamento “indiretto” comporta in aggiunta la necessità che il professionista esamini il piano di continuità della società cessionaria o della società conferitaria del ramo, il che comporta comunque l’esigenza della predisposizione di un piano della cessionaria/conferitaria, da sottoporre alla valutazione del professionista, con un orizzonte temporale adeguato a consentire tale valutazione.

Il trasferimento del contratto pubblico presuppone che la società cessionaria o conferitaria disponga dei relativi requisiti (qualificativi) di legge, richiamati dalla stessa norma, e tale circostanza dovrebbe essere acclarata dal professionista attestatore..

I contenuti della relazione di attestazione speciale occorrente per la partecipazione a procedure, sono i medesimi già indicati per la relazione di cui al terzo comma.

Va peraltro evidenziare che il requisito di conformità al piano potrà ragionevolmente risultare soddisfatto anche in mancanza – per ragioni temporali, in quanto la opportunità di partecipare all’assegnazione potrà manifestarsi in un momento successivo - di un’espressa previsione nel piano stesso, purché il contratto per il quale l’impresa concorre sia comunque riconducibile alle attività oggetto di prosecuzione ed il professionista riscontri la sostenibilità economica e finanziaria per l’impresa, con una valutazione che attiene non solo la conformità ma anche la ragionevole capacità di adempimento.

Da ultimo, la normativa nulla dice in merito all’eventualità che il professionista che rende la relazione speciale sia il medesimo che ha predisposto la relazione di cui all’art. 161, terzo comma l. fall., con il contenuto additivo di cui all’art. 186-bis, secondo comma, lett. b) l.fall.

Non pare di poter ravvisare una situazione d’incompatibilità neppure ai sensi del riformato art. 67, terzo comma, lett. d) l. fall., che esclude chi abbia prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, per avere il professionista già attestato la domanda di concordato.

Sotto un profilo meramente pragmatico, la pretesa di moltiplicazione dei professionisti addetti al confezionamento del concordato non fa altro che accrescerne i costi, proprio a scapito della migliore soddisfazione dei creditori.

Inoltre, appare senz’altro opportuno che si tratti dello stesso professionista, atteso che la valutazione di conformità e soprattutto di capacità di adempimento sono difficilmente scindibili dalla la valutazione di fattibilità del piano già da questi operata.



[1] Cfr. L. Amerigo Bottai, Revisione delle legge fallimentare per favorire la continuità aziendale, in Fall. 2012, 924.

[2] V. L. Mandrioli, Struttura e contenuti dei “piani di risanamento” e dei progetti di “ristrutturazione” nel concordato preventivo e negli accordi di composizione negoziale delle situazioni di “crisi”, in Le nuove procedure concorsuali per la prevenzione e la sistemazione delle crisi d’impresa, a cura di S. BonfattiG. Falcone, Milano, 2006, 461; C. Esposito, Il piano del concordato preventivo tra autonomia privata e limiti legali, in S. Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali, Torino, 2008, 543; M. Fabiani, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, 610 ss.

[3] V., in proposito M. Arato, Il concordato preventivo con continuazione dell’attività d’impresa, in F. Bonelli (a cura di), Crisi d’imprese: casi e materiali, Milano, 2011, 157), mentre si tendeva a far ricadere il trasferimento del complesso produttivo nel genus del concordato per cessio bonorum (cfr. S. Ambrosini, Il piano di concordato e l’eventuale suddivisione dei creditori in classi, in S. AmbrosiniP.G. DemarchiM. Vitiello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 30)

[4] Cfr. S. Ambrosini, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in  www.ilcaso.it, 2013, 3: l’art. 27 d. lgs. n. 270/1999 stabilisce che il recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali può avvenire tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa (sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni) o, in alternativa, tramite la cessione dei complessi aziendali (adottando un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno).

[5] Cfr. S. Ambrosini, op. loc. cit.; M. Fabiani, Riflessioni precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa (appunti sul d.l. 83/2012 e sulla legge di conversione), in  www.ilcaso.it, II, 303/2012, osserva che “la nozione di continuità aziendale utilizzata dal legislatore è spuria in quanto sono accomunate al medesimo destino sia quelle imprese in cui l’azienda in esercizio viene trasferita (o conferita ) a terzi sia quelle in cui l’attività d’impresa resta in capo al medesimo imprenditore (non importa, qui, se affiancato da nuovi investitori)”. E v. anche A. Maffei Alberti, sub art. 186-bis, in Commentario breve alla legge fallimentare, diretto da A. Maffei Alberti, 2013, 1238.

[6] Cfr. S. Ambrosini, cit., 5; v. in giurisprudenza la recente Trib. Mantova, 19 settembre 2013, in  www.ilcaso.it, 2013, secondo cui “In ipotesi di concordato misto, in parte liquidatorio ed in parte con continuità aziendale, per individuare le norme da applicare nel caso concreto occorre verificare se le operazioni di dismissione previste, ulteriori rispetto all’eventuale cessione dell’azienda in esercizio, siano o meno prevalenti, in termini quantitativi e qualitativi, rispetto al valore azienda che permane in esercizio, quand’anche per mezzo di cessione a terzi”.

[7] Trib. Bolzano, 27 febbraio 2013, in  www.ilcaso.it, ha nitidamente affermato che “L'articolo 186 bis L.F., il quale disciplina il concordato con continuità aziendale, nel prevedere la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, non distingue tra attività esercitata direttamente ed attività esercitata indirettamente dal debitore imprenditore, con la conseguenza che quella di affitto di azienda deve necessariamente ritenersi compresa nell'esercizio dell'attività di impresa e che l'affitto di azienda può rientrare in una delle ipotesi di continuità espressamente previste dal citato articolo 186 bis” In precedenza Trib. Terni, 2 aprile 2013, in  www.ilcaso.it, 2013, aveva analogamente ritenuto che “Le prescrizioni contenute nell'articolo 186 bis L.F. in ordine alla analitiche indicazioni di costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa ed alla relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, sono disposizioni di tutela del ceto creditorio dai rischi connessi all'alea dei flussi economici e dall'incremento delle passività in prededuzione e, come tali, devono essere osservate anche nell'ipotesi in cui la continuità aziendale sia ottenuta mediante affitto dell'azienda in esercizio a terzi”. Per la tesi favorevole in dottrina, v. A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Fall., 2013, 271.

[8] Così recentemente S. Pacchi, Flash sul concordato preventivo in continuità, in IPSONEWS, 26 agosto 2013; tale orientamento era stato in un primo momento assunto anche dalla giurisprudenza di merito: cfr. Trib. Terni, 28 gennaio 2013, in  www.ilcaso.it, 2013 per cui “Nell'ambito del concordato con continuità aziendale di cui all'articolo 186 bis L.F., la esplicita previsione del requisito della "cessione di azienda in esercizio" consente di escludere che il concordato con continuità possa essere attuato tramite la distinta ipotesi dell'affitto di azienda”.

[9] In  www.ilcaso.it, 2013.

[10] Che per l’appunto prevede la possibilità per il debitore di chiedere al Tribunale ovvero al giudice delegato l’autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione alla data del ricorso.

[11] Ulteriore espressione della intima connessione tra continuità aziendale e sopravvivenza dei contratti pendenti è la facoltà concessa, in presenza di apposita attestazione del professionista e previa autorizzazione del tribunale, di procedere al pagamento di crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi nei confronti di fornitori strategici, di cui all’art. 182-quinquies, quarto comma l.fall.

[12] Cfr. L. Abete, Il pagamento dei debiti anteriori nel concordato preventivo, in Fall., 2013, 1110, in nota.

[13] Cfr. P.F. Censoni, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in  www.ilcaso.it, 2013.

[14] Cfr. A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, cit., 271.

[15] Per una autorevole e ampiamente motivata opinione contraria v. G. Bozza, I contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo, in Fall., 2013, 1129 ss.

[16] Cfr. A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, cit., 272; P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”, in Fall. 2013, 96.

[17] Cfr. A. Patti, op. loc. cit.; in giurisprudenza, in senso favorevole all’applicabilità dell’art. 169 bis alla domanda con riserva, cfr. Trib. Mantova 27 settembre 2012, in  www.ilcaso.it, 2012, I,7874, Trib. Modena 30 novembre 2012, in  www.ilcaso.it, 2012, I, 8196; contra: Trib. Pistoia 30 ottobre 2012, in Fall., 2013, 74.

[18] Cfr. A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, cit., 273,

[19] Cfr. T.A.R. Trieste (Friuli-Venezia Giulia) sez. I, 24 novembre 2011, n. 543, in Foro Amministrativo - T.A.R., 2011, 11, 3452 (s.m).

[20] Cfr. T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste Sez. I, 7 marzo 2013, n. 146, in  www.ilcaso.it, 2013.

[21] Cfr. T.A.R. Aosta, Sez. I., 18 aprile 2013, n. 23, in Foro Amministrativo – T.A.R.,2013, 1097 (s.m.)

[22] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 19 aprile 2012, n. 2305, in Diritto dei Servizi Pubblici.it, 2012.

[23] Cfr. Cons. Stato, (Ad. Plen.) 20 agosto 2013, n. 20, in Fisco, 2013, 5293.

[24] Cfr. trib. Cosenza, Tribunale Cosenza, 19 dicembre 2012, in  www.ilcaso.it, 2013, I, 8247;

[25] Cfr. Tribunale Vicenza 7 febbraio 2013, in Red. Giuffré, 2013.

[26] Per il tema delle attestazioni nel concordato preventivo cfr. G. Nardecchia - R. Ranalli, Commento all’art. 186-bis L.F., in Codice Commentato del Fallimento a cura di G. Lo Cascio, 2013, passim.

[27] Cfr. A. Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fall., 2013, 1099.

[28] Parte II, Titolo I, Capo II - Requisiti dei partecipanti alle procedure di affidamento.


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